25 ago 2010

Un muro non basta

“Nadia, sono qui! Hai portato tutto?”
Tito scese dall’auto e Nadia si avvicinò, una mano in tasca e l’altra mezza congelata a sorreggere una busta piena di barattoli; il sedile posteriore era sparito per far posto alla vecchia scala pieghevole.
“Si, tutto.”
“Sapevo di poter contare su di te, Zia.”– le rispose Tito calandole sulla testa un cappuccio da Babbo Natale con le lucine intermittenti.

“Poi mi spiegherai perché hai scelto proprio me, Zio” – gli chiese sarcastica – “forse perché sono l’unica che conosci a lavorare in un colorificio?”
“Può darsi” – rispose Tito sorridendo – “Ora smettila di fare l’antipatica; è Natale, dobbiamo essere tutti più buoni.”
Nadia gli diede uno scappellotto dietro alla nuca e si incamminò dietro di lui, finché arrivarono davanti al liceo Buonarroti.
La nuova preside aveva fatto costruire un muro tutto intorno al cortile; erano altri tempi quelli in cui l’occupazione sarebbe scattata per molto meno.
Con la scusa del negozio da mandare avanti in quei dodici anni Nadia non era mai tornata nella sua vecchia scuola; non aveva nessuna voglia di rincontrare la professoressa Casucci.
“Stronza.” – mormorò Nadia a bassa voce.
“Con chi ce l’hai?” – le chiese Tito.
“Niente.”
Non le andava ancora giù quel due in matematica all’ammissione; per colpa sua niente sessanta.
“Mettiti lì, i ragazzi hanno già fatto lo schizzo e passato il fissativo.”
“Ma se ci vedono?”
“Ma chi vuoi che ci veda? E’ la notte di Natale, sono tutti impegnati ad ingozzarsi di torrone e pesce fritto. Ora glielo facciamo vedere noi il "Natale di rigore e sobrietà" a quella zitellaccia senza spirito natalizio. Vai lì a farmi luce, che non vedo niente.”
Nadia si posizionò a qualche metro di distanza con la torcia elettrica, mentre Tito salì sulla scala e iniziò a ripassare di verde brillante i contorni dell’albero. Poi fu la volta delle decorazioni: spray argento per i nastri, schizzi chiari per le lucine, e tantissime palline rosse, ognuna delle quali conteneva il nome di uno studente.
“Sai perché mettiamo le palline colorate sull’albero?” – le chiese Tito senza distogliere lo sguardo dal murales.
“No, perché?”
“La leggenda narra che a Betlemme un artista di strada molto povero poté regalare a Gesù Bambino solo uno spettacolo: era un giocoliere e faceva vorticare tante palline da una mano all'altra; il Bambino rise molto, e per questo oggi mettiamo le palle sull’albero: per ricordare le risate di Gesù.”
Dopo qualche ora di spruzzi, schizzi e pennellate l’albero di Natale del Buonarroti troneggiava maestoso e dissacrante al centro del muro.
“Ed ora, gran finale! Merry Christmas, Mrs Presideee...” -canticchiò Tito, facendo il verso alla famosa versione di Happy Birthday cantata da Marilyn a Kennedy.
Dalle mani di Tito prese vita una bitorzoluta Befana raggomitolata su una scopa che volava verso l’albero, e Nadia si accorse immediatamente che la vecchia assumeva pian piano i tratti della professoressa Casucci.
“Ah però…”– mormorò Nadia.
Terminato il murales, Tito posizionò la fotocamera sul cavalletto inserendo l’autoscatto, poi si avvicinò di corsa a Nadia.
“Buon Natale, stronza!” – urlarono ridendo forte sotto le sciarpe scolorite, mentre il flash immortalava Nadia con il cappuccio da Babbo Natale ancora in testa e le dita della mano sinistra aperte in simbolo di vittoria.
Ma sarà stata davvero una “V”, o più semplicemente un due?

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