11 ago 2010

Una notte bugiarda

Il vento freddo di un inizio d'agosto inconsueto vibrò sulle foglie dell'edera, avvisandoci che era ormai giunta l'ora di andare. Emozioni sottocutanee correvano lungo i miei arti regalandomi pelle d'oca che potevo esibire come trofeo di brividi meteorologici; cercavo un'endovena di monotonia per riportare la mia vita sul binario di un'estate come tutte le altre, tra nidi di vespe e vacanze che tardavano a iniziare.
E mentre tutti abbandonavano la festa, lasciandosi dietro tovaglioli sporchi di parole e briciole di sorrisi da incorniciare, io e lui camminavamo fianco a fianco, lungo la strada deserta di quella notte inoltrata, quella notte in cui risuonava ancora l'eco di sorprese e buone azioni quotidiane, notte abbandonata da anime bisognose di ferie e lasciata al suo destino da occhi stanchi in attesa di una nuova mattina. In quella notte lui mi camminava vicino lasciandomi annusare il profumo di ciò che non potevo avere, mentre il buio nascondeva parole scomode e sguardi pettegoli.
Le mezze maniche nere troppo larghe per nascondere la sua voglia di restare, le chiavi dell'auto che tintinnavano nelle sue tasche come un monito ad affrettare il passo.
Una donna, un uomo. E un'altra donna, e un'altro uomo, che ci guardavano talmente lontani da essere spariti dalla nostra vista, talmente lontani da essere spariti, per un istante, dalla nostra vita.
E poi la monovolume si aprì, inghiottendo tutto e niente in quell'abbraccio che sembrava non voler finire mai; un abbraccio che nasceva già morto, troppo carico di tutte quelle cose che non potevamo dirci, saturo di tutti gli anni in cui le nostre anime si erano incontrate in troppe circostanze diverse, un abbraccio che annullava la distanza tra due corpi che vibravano di paure e sospiri.
E io ero lì, a respirare il suo calore, ad ascoltare il battito accellerato del suo cuore, a strapparmi di dosso la voglia di dirgli non andare.
E io ero lì, a riflettere sulla crudeltà di un istante che avrebbe potuto cambiare il corso delle nostre vite, e a noi era stato dato solo un istante per pensarci, solo un istante nel quale la ragione alzò la testa e mi guardò dritta negli occhi assumendo le sembianze dei miei trentadue anni.
E io ero lì, stretta tra le sue braccia che mi circondavano come una gabbia dorata, le sue braccia che come la mia anima urlavano non andare, squarciando la tela di silenzio tessuta da tutte le parole che non ci dicevamo.
E io lo lasciai andar via, ritrovandomi a camminare in compagnia dei miei sandali, che echeggiavano lungo la mezzanotte inoltrata di quella notte bugiarda.

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