11 ago 2010

Tutto il mondo è paese

«E no! Pure questo no! E mò me song scassato e' pallè pe davvèr!» – tuonò Giorgetto, rovesciando la bacinella d’acqua calda nella quale stava facendo il pediluvio, mentre fuori cadeva copiosa la neve – «Ma guarda tu si cu tuttè e' cosè ca' teng ra fa' me aggia prioccupàre pur' e' chistu sciem!»
Giorgetto si sfilò la barba finta e, accecato dalla rabbia, tirò contro il muro gli stivali a punta, che tra l’altro gli avevano fatto venire certi calli che ad ogni cambio meteorologico era meglio non stargli vicino.
Non si arrabbiava praticamente mai, ma nelle rare volte in cui accadeva dimenticava improvvisamente il finlandese.

In occasioni come queste EnzinoPaolino, il folletto ballerino che Giorgetto si era portato appresso da Partenope, detto il Turco per via della sua malsana attitudine a fumare qualunque cosa sprigionasse una combustione, si gonfiava di orgoglio ed accorreva a tradurre simultaneamente, ormai da secoli, le parole del Boss agli altri folletti, tutti estremamente contenti di poter abbandonare il freddo dialetto scandinavo per parlare ognuno nel proprio idioma.EnzinoPaolino tirò indietro la folta chioma bionda con una mossa degna della migliore Carrà, e prese il microfono gracchiante per annunciare ai compagni di mettersi comodi ad ascoltare.
«Ma guarda tu se con tutte le cose che ho da fare devo preoccuparmi anche di questo idiota.»
«Ma belin, che succede signor Nicola?» - azzardò Grilletto, il folletto genovese legittimo proprietario del suddetto microfono, noto sollevatore di masse.
«Succèd ca' me song scassato e' pallè ‘e tutt! Ebbasta co chistu Nicola, io me chiamm Giorgett Mezzapesa, mannaggia a morte!» – Giorgio lasciò cadere la lettera che teneva in mano sulla montagna di carta che stava esaminando per terminare il carico di regali.
«Sono stanco di tutto. E vi invito caldamente a non chiamarmi Nicola, io mi chiamo Giorgio Mezzapesa, per tutti i folletti.»
«Ma Boss, deve ammettere che Giorgetto non è il nome più adatto per un ciccione psicopatico vestito di rosso che se ne va in giro a cantare oh, oh, oh Merry Christmassss…Bisogna cambiare, bisogna buttare giù l'oligarchia!»
«Statt’ sitt, nanetto, ca tieni na vocie pegg’ de Toto Cutugn!»
«Fai silenzio, Grilletto, la tua voce non è propriamente armoniosa.»
«Ah Bosse» – intervenne Gasparino, il volgarotto folletto romano - «ma perché er Gobbo nun te l’ha lasciato sceje a te er nome d’arte? Che ne sooo, te potevi chiamà tipooo Red Mezzy, oppure Big Georgie, nun te piacevano?»
«Me aritt ca’ me duvevo chiamà Nicola, pecché se puteva accurcià in Claus, sient’ cumm’sona bene, Claus! E io aggia abbuccat’ co tutt’e stivale!»
«No, ti devi chiamare Nicola» - mi ha detto - «Perché Nicola si abbrevia facilmente in Claus, non senti come suona bene? Claus! E io mi sono fidato.»
«Ammazza ao, certo che er Grande Capo allora è propio n’gran pezzo de mme… Ao! Ahia! Me fai male! Ma che sei matto?» – disse Gasparino rivolgendosi a Prodetto, il folletto bolognese che gli aveva appena tirato un pestone sul piede per farlo tacere. – «Fai scilensio, soccia, ti vuoi forse far licensiare? Non lo sciai che il Gobbone scente e vede tutto?»
Il “Gobbone” altri non era che il Capo Supremo, o Grande Capo, diretto superiore di Giorgio e di conseguenza anche capo dei Folletti.
Una sorta di essere mitologico millenario, con grandi orecchie appuntite, scarpe lucide di coccodrillo e una gobba che non passava certo inosservata. Nessuno sapeva dire con esattezza quanti anni avesse, nessuno lo aveva mai visto di persona. Nell’ambiente si mormorava che il suo vero nome fosse Giulio Andreozzi o qualcosa di simile, ma chissà.
Giorgio si sedette di nuovo sulla sedia tentando di ritrovare un po’ di calma, non amava farsi vedere in quello stato dai suoi folletti. Poi si rivolse a EnzinoPaolino per rassicurarlo.
«Vattènn, Paolè, ca nun ma servi cchiù.»
«Ma Boss…»
«E vattènn va, vattènn a provà lu ballett’ ca tieni sulament’ 1.257 anni e Maria De Filippi te po’ ancora chiamà.»
«Mi congedo, compagni folletti, il Boss sostiene di essere in grado di rivolgersi a voi parlando in italiano e mi lascia libero di seguire le mie aspirazioni artistiche.»
EnzinoPaolino il Turco uscì dalla stanza con espressione mortificata per andare a scatenarsi nella Sala Prove della baita dove riecheggiavano le note di “Fame”.
Giorgio riprese la parola.
«Cari folletti, scusatemi, ma sono veramente stanco. Oggi è arrivato il colpo di grazia. Vedete questa?» – Giorgio riprese dal mucchio di lettere quella che aveva lasciato cadere pochi istanti prima – «Questa non è la lettera di un bambino, è la RAI. Mi avvisano che stanno mandando la troupe di Voyager qui a Napapiiri per svelare il mistero di Babbo Natale. E alla mia età tengo da sopportare pure quel Giacobbo che sparisce dall’inquadratura con l’effetto dissolvenza, mannagg’ a morte. Quello sarebbe capace di dire che Babbo Natale è stato mangiato vivo dai chupacabras. L’unica speranza è che si fermi a Rennes le Chateau e non arrivi mai qui a Napapiiri.
Vabbuò, insomma. Me n’aggia ‘i, me ne devo andare. Quello scassambrella di Giacobbo non mi deve trovare. Vi immaginate cosa succederebbe se si venisse a sapere che Santa Claus in realtà si chiama Giorgio Mezzapesa, è alto un metro e mezzo, non tiene manco la barba e la cosa più nordica che ha sono i calli degli stivali? Proprio adesso che dopo nove secoli di contratti stagionali il Capo si è deciso a mettermi in regola.»
«Ma Bo-boss!» – interruppe Cossigotto, il folletto sardo balbuziente – «Tra poche ore sa-sarà la no-notte-te di Na-nana-nattale, co-ome facciamo noi follet-ti-ti se lei se n-ne va?»
«Ma si, ma chi se ne fott’. In fondo chi me lo fa fare? Quelli sciagurati laggiù non sanno nemmeno dove vivo. Se gli dici Napapiiri quelli pensano ai giacconi, mica a casa mia. Con questo freddo poi, ma avete idea di cosa significhi sfrecciare nei cieli in dicembre? Ormai l’unica cosa che galoppa è la mia artrosi, altro che renne. E anche loro, guardatele» – Giorgio indicò Dellutrina, Manganella, Malaiuta e Umbertina che dormicchiavano nella stalla – « non vedete che non ce la fanno nemmeno a tenere gli occhi aperti?»
«Ma Boss» – azzardò Fassinello, il folletto piemontese magro come un fuso, –«le renne sono vecchie, è ora di cambiare! Forse dovrebbe rinnovare un po’ il parco motori… Si può fare! O no?»
«Ecciert’, è arrivat o’ggenio! » – rispose Giorgetto ridendo. A quelle parole accorse immediatamente EnzinoPaolino ancora sudato per il troppo ballo.
«E che maronn’ Paolè! M’è scappato, mò nun è ca devi corre qua pe tutt’e strunzat’ che dico, eh? Vabbuò, mò oramai stai accà, assettate e statte buono. Fassinello caro,»- continuo Giorgetto ritrovando la calma e accarezzando la testolina del folletto frustrato – «secondo te io non ci ho già pensato? Se sai indicarmi un allevatore che possa vendermi altre quattro renne che volano te ne sarei molto grato.»
«Ma io so che Berluschetto conosce un tipo di Rovaniemi che…» – le parole di Fassinello furono interrotte da un improvviso black-out.
«Ci risiamo. Tin-tin! Spegni la stufa elettrica che salta la corrente!» – urlò Giorgio.
«Miiii boss, friddu è! Ma non accesi io la stufa stavolta, qua sono.» - rispose il folletto Riin, detto tin-tin per via della somiglianza con un pessimo attore degli anni cinquanta. Recitava un po’ da cani, quel tipo.
Giorgetto rialzò la leva del quadro elettrico e la stanza tornò ad illuminarsi.
«Dicevamo, Fassinello?»
«Niente, boss.»
«Mi consenta, signor Boss» – replicò Berluschetto, il folletto di Arcore, sentendosi chiamato in causa – «Mi permetto di consigliarle di andarsi a rilassare un po’ nella sauna Stop Fat, sa, mi sembra un tantinello nervoso e stanotte dovremo scendere di nuovo in campo. Si fidi, che io di consigli me ne intendo.»
«E mica tengo a’capa sciacqua! Accussì si dimagrisc me caccia, o’strunz.»
«Non mi sembra una buona idea. Nella sauna potrei buttare giù qualche chilo e il Grande Capo mi licenzierebbe.»
«Puro o’piaciere de la sauna m’ha levat, u strunz. Mannaggia a muort’, c’altro vuo’ tenè da fa in Finlandia?»
«Il Grande Capo non mi permette di fare nemmeno la sauna, e per tutti i folletti, la Finlandia non è che offra così tanti spunti di divertimento…»
Giorgio osservò per qualche istante Berluschetto, pensieroso.
Improvvisamente gli sembrò che in tutti i momenti topici della sua lunga vita, Berluschetto ci fosse sempre stato, in un modo o nell’altro.
Come quando conobbe Patty, ad esempio. La magia di quel momento, il vapore del tè caldo che appannava il vetro di quel bar, e all’improvviso in mezzo al fumo LEI, la donna più bella del mondo, capelli biondi ed occhi celesti, due tette sode e un sedere alto e sporgente, gambe chilometriche che culminavano con un vitino stretto come fasciato in un busto del settecento. Una visione, un’illuminazione.
«Uè uè, chiattò!» – gli disse Patty appena lo vide entrare nel locale – «Ma cumm ti si accunciat?» – e poi quella risata celestiale, una vera e propria folgorazione.
«Uh Maronn’ mia! Ma si napuletana! Chist è nu segno!»
Negli occhi di Giorgio brillò una luce nuova, il fuoco della passione.
Seduto su uno sgabello al bancone c’era Berluschetto, che beveva una pinta di birra più alta di lui e si sfregava le mani con un’espressione un tantino demoniaca. A Giorgetto non sembrò vero di poter condividere la sua gioia con uno dei suoi folletti.
«Berluschè, maronna mia, guarda quant’è bbella sta femmina! Nu quadro do’ settecient…»
Non fece in tempo a terminare la frase che nel locale entrò un messaggero del Grande Capo con un telegramma per lui.
«Giorgio ricorda impegno preso STOP niente donne STOP Befana con corna non si può vedere STOP rischio licenziamento STOP»
«Ma vafan’cul a te e a quella racchia dda’ Befana!» - imprecò Giorgetto uscendo dal locale, mentre Berluschetto lo seguiva lanciando anatemi contro il Gobbo.
«Mi ha rovinato il piano, maledetto comunista travestito da democristiano!»
«Che dici, Berluschè? Con chi ce l’hai?»
«Io? Non ho parlato, Boss.»
E anche oggi la lettera della RAI gliel’aveva consegnata proprio Berluschetto, aveva preso lui la posta dalle mani del portalettere.
Rientrando dal flashback Giorgio si rivolse a Berluschetto con aria interrogativa.
«Fuss ca fuss nu bell’ jettatore, berluschè?»
«Berluschetto, sei per caso portatore di funeste coincidenze?»
«E statt buon’ Paolè! Uh maronna mia, tieni proprio a’capa fresca te eh…» – Giorgio proseguì rivolgendosi agli altri folletti – «Ragazzi miei, sono proprio in crisi. Cosa fareste voi al mio posto?»
Berluschetto si alzò.
Si alzò?
Boh, in realtà non è che da seduto a in piedi cambiasse molto.
Comunque, dicevamo, Berluschetto si alzò e sfoggiando un sorriso a trentadue denti meno due, quelli davanti, porse a Giorgetto un biglietto aereo.
«Boss, casualmente ho qui un bel biglietto per le Maldive. Che ne dice di andarsi a riposare un po’ nelle calde acque dell’oceano indiano, sventolato da una escort in costume adamitico mentre sorseggia un bicchiere di rum e pera? Ai regali ci pensiamo noi, lo giuro sui miei figli!»
Sull’assemblea dei folletti calò improvvisamente il gelo. No, non si era spento il caminetto. C’era perplessità, alimentata dal fatto che Berluschetto non aveva figli.
«Berluschè» – rispose Giorgio – «vuò vedè che nun è o vero che tieni 'a capa sulo pe spartere 'e rrecchje?»
«Berluschetto, questa mi sembra un’idea degna di un folletto intelligente come te» – tradusse EnzinoPaolino, ricevendo in cambio da Giorgio un’occhiata che gli tagliò le basette di tre centimetri.
Giorgio prese il biglietto dalle mani di Berluschetto, si abbassò gli occhiali sulla punta del naso per leggere le scritte in piccolo, poi guardò Berluschetto di traverso.
«Ccà ce sta scritt Single Ticket, che cazz’ vuo’ dicere? Io voj’ e fimmine!»
Prima che gli altri folletti potessero replicare, Berluschetto sentenziò:
«Mi consenta, Boss, non si preoccupi, le donne ci sono, cribbio! E in abbondanza, garantisco io che me ne intendo. Noemy Lety e Patty Daddy sono già lì ad aspettarla. Ma se non si sente sicuro propongo di mettere ai voti il suo viaggio, indico una votazione democratica! Folletti, chi di voi vuole che il Boss parta per le Maldive? Alzate la mano destra.»
Nessun folletto alzò la mano, tutti si guardavano con aria interrogativa e dalla sala si alzò un brusio di disapprovazione.
«Come pensavo. Abbiamo il 72% dei consensi tra i nostri folletti. Una larga maggioranza, oserei dire. Vada tranquillo Boss, qui penso a tutto io.»
Vedendo che Giorgio esitava ancora, Berluschetto tirò fuori dalla tasca la foto di Noemy e Patty intente a scambiarsi un appassionato bacio saffico. E Giorgio ruppe gli indugi.
Anche a Napapiiri evidentemente tira più un pelo di foca che una slitta di renne.
«Folletti, è deciso, me ne vado. Vi lascio tutto pronto, la slitta è già carica, dovete solo attaccare le renne e dire Oh oh oh Merry Christmasss, quelle quattro rimbambite partiranno automaticamente. Come dite? Come si fa per fermarle? Eh boh, questo non lo so. Ma mi raccomando, fate tutto quello che vi dice Berluschetto, da questo momento in poi è lui il capo. Statev bbuon’ guagliò!»
Ciò detto, Giorgio Mezzapesa prese una borsa da mare, ci infilò dentro un paio di tanga leopardati e uscì nel silenzio generale, incamminandosi a piedi verso l’aeroporto, dove però non arrivò mai.
Si mormora che a metà strada il povero Giorgio sia stato colpito sui denti con una copia made in Cina della Sirenetta di Andersen, un colpo preciso ed assestato, sferrato dalla mano criminale di un certo Ignetto il Russo.
Voci di corridoio ci fanno sapere che Babbo Natale è stato reso inoffensivo e nascosto in un bunker sotterraneo nei pressi di una sfarzosa residenza chiamata Villa Certosina. Nessuno ha più notizie di lui da quel giorno.
Ma torniamo nella baita. Appena ebbe campo libero Berluschetto prese il telefono.
«Minzolo, volevo ringraziarti. Idea geniale. Come dici? Piero Angela? Non esageriamo, non serve, è bastato Giacobbo. A proposito, dimmi un po’, i tuoi figli cos’è che volevano per Natale?....»
Terminata la telefonata, Berluschetto si arrampicò su uno sgabello e si rivolse agli altri folletti iniziando ad impartire i primi ordini.
«Amici, fratelli e compagni, anzi no, compagni no. Amici e fratelli, vi comunico che da questo momento in poi nessuno di noi lavorerà più, lasceremo il posto alla nuova generazione, creando così un milione di nuovi posti di lavoro! Ed ora andate, andate pure a prendere ciò che più vi piace tra le decine di migliaia di doni presenti nel magazzino. E’ tutto nostro! Viva la libertà! Viva Berluschetto!»
Nel movimento generale, i folletti più anziani mostrarono qualche perplessità nei confronti della nuova gestione.
«Ma onorevole collega, e i bambini?»
«A loro darò il Grande Bordello e l’Isola dei Formosi, cosa volete che gli importi più di questi stupidi giocattoli?»
Mentre Berluschetto continuava i suoi proclami, dalle porte laterali della baita entrarono decine di ragazze in abiti succinti con champagne, ricchi premi e cotillons; dai muri uscirono maxischermi che trasmettevano immagini di un’Alessia Marcuzzi sempre più brutta ma con le tette sempre più grandi che urlava “Evviva i follettiiii! Evviva il Nataleee! Evviva Berluschettooo!”, dal pavimento emersero tavolini in cristallo che sorreggevano bustine cariche di una strana polvere bianca; e sotto ai tavolini i folletti iniziarono a festeggiare, cercando di rincorrere le ragazze che scappavano sculettando.
Ogni tanto un folletto saliva sulle spalle di un altro, si affacciava al tavolino ed inseguiva la scia di polvere. Cos’era? Mah. Sembrava talco ma non lo era, e serviva a dare l’allegria.
E nel mondo? Come presero la notizia della scomparsa di Babbo Natale?
Inizialmente la gente si chiese che fine avesse fatto il buon grassone in abito rosso, ma poi tutti si rassicurarono quando la RAI diede la notizia che a breve Giacobbo e Piero Angela sarebbero partiti insieme per Napapiiri per svelare il mistero.
E con un’accoppiata del genere non si poteva che stare tranquilli.
Più di una signora, sentendo la notizia al tg, chiese al proprio marito se fosse il caso che due giornalisti di quella levatura andassero a parlare di giacconi invernali in un momento di profonda crisi economica.
In compenso i folletti continuarono, nei secoli dei secoli, a mangiare sulle spalle della povera gente, grazie ai doni che qualche povero malcapitato inviava a Napapiiri pensando di destinarli ai bambini poveri.
E ogni anno, il 24 dicembre a tarda sera, dalla baita che fu di Giorgio Mezzapesa si sente levarsi un coro di centinaia di vocine stridule e un po’ ubriache che intonano:
«Menomale che Berluschetto c’èèè!»

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