11 ago 2010

Le scarpe nuove


Camminava, era già buio ma non era tardi, saranno circa le sei, pensò. D’inverno la notte arriva sempre presto.
Non aveva mai avuto un orologio, ci aveva provato mille volte a comprarne uno, lo indossava per un paio di giorni, poi lo dimenticava sul comodino, e quando tornava a casa la sera le lancette erano troppo impolverate per poter distinguere che ora fosse.
La strada era buia, abbastanza da veder spuntare dall’angolo un gatto che non c’era.

La busta di nylon rossa che teneva in una mano iniziava a diventare pesante, ma non avrebbe comunque potuto fare a meno di portarla con sé. Di qualcosa doveva pur riempirsi, da quando la sua famiglia lo aveva abbandonato.
Mentre camminava diretto verso una meta ancora sconosciuta, si accorse che c’era qualcosa di fronte a lui, una donna seduta in terra. Sentì che ricominciava a piovere, la strada diventò viscida, la nebbia e il fumo delle caldaie facevano il resto.
Cercò con le dita nella tasca della giacca e prese una sigaretta, l’accese senza fermarsi; l’anidride carbonica si sprigionava nell’aria ad ogni suo passo, lento ma continuo, un boato che risuonava come una bomba a orologeria nel silenzio assordante di quell’acerba notte d'autunno.
Pochi passi e arrivò lì, in quel punto dove solo qualche attimo prima pensò di non voler arrivare.
Sapeva che avvicinandosi a quella povera donna la sua empatia lo avrebbe divorato, non avrebbe potuto fare a meno di aiutarla, di fermarsi con lei, di pensare a lei in ogni suo momento della giornata. Sarebbe diventata un’ossessione; no, non voglio.
Non era una donna, era un grande telo di plastica accartocciato in un angolo.
Meglio così, riflettè, non dovrò pensare a lei stanotte quando andrò a dormire.
Ma era tardi ormai, la donna c’era già. Non lo guardava, ma lui poteva vederla distintamente: il suo scialle rattoppato, la testa coperta da un cappuccio di tela stinta, gli occhi quasi completamente chiusi da un oculista che non poteva permettersi. E quella schiena, piegata dal peso dei pregiudizi che le impediva di guardare il mondo dritto negli occhi…sembrava che quella gobba fosse stata messa lì apposta da un dio compassionevole, per far sì che i passanti non dovessero assistere allo strazio di quelle smorfie pietose sul suo viso scarno.
Poteva toccarla, ma decise di non farlo, no, non voglio toccarla, pensò. Qualcuno potrebbe vedermi, e cosa penserebbe allora? No, non la toccherò. Non ora. Avrò tutto il tempo che voglio più tardi, quando sarò solo con lei.
Si voltò e tornò indietro, ripercorrendo la strada al contrario, intenzionato a sedersi su quella panchina che aveva visto all’inizio della via, per aspettare che la notte calasse completamente e gli permettesse di prendere per mano quella donna e portarla a casa con lui.
Il rumore dei suoi passi sui ciottoli gli sembrò troppo forte per essere solo suo. Qualcuno camminava dietro di lui, qualche metro più indietro. Un uomo ben vestito, non riusciva a vedere molto altro, doveva avere delle scarpe nuove stando al rumore dei tacchi. E anche molta fretta.
Talmente tanta fretta che non guardava nemmeno dove metteva i piedi, fino a inciampare nel grande telo di plastica accartocciato al bordo della strada.
Non si scompose, si guardò intorno per scongiurare la figuraccia e riprese la sua andatura rapida e decisa, facendo finta di niente.
Mi devo fermare, pensò, gli darò la possibilità di scusarsi, in fondo non l’avrà mica fatto apposta.
Ma quando gli fu accanto, l’uomo non si fermò, proseguì per la sua strada tenendo la testa bassa, senza nemmeno incrociare il suo sguardo.
Non ha nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia, quel figlio di puttana. Nessuno può permettersi di prendere a calci la mia donna e andarsene, nessuno, neanche un uomo con le scarpe nuove.
Accelerò il passo e arrivò talmente vicino all’uomo da non accorgersi che la punta del coltello uscita dalla busta rossa gli aveva già trapassato l’addome, lasciando quelle scarpe nuove a nuotare in un lago rosso e caldo.
Tornò indietro di qualche metro e si avvicinò a lei; era spaventata, tremava come una foglia scossa dal vento. Raccolse il telo da terra, cercando di sgualcirlo il meno possibile, e se lo mise sotto il braccio.
«Vieni amore, andiamo a casa.»

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