11 ago 2010

Oklahoma S.P.

C’è una specie di luminosità nel suo sguardo stamattina. Si vede da come è entrato in ufficio, da come ha centrato l’attaccapanni con la giacca e da come mi ha salutato unendo pollice e indice e alzandoli alla bocca per invitarmi a prendere il caffè. Mentre lavoriamo, ogni tanto si tocca il gesso e non può fare a meno di sorridere. Mi avvicino e fingo di leggere il comunicato che ha davanti: una piccola scritta storta spicca sulla piega bianca dell’ingessatura.

E’ lì già da qualche giorno, quella scritta verde smeraldo, ma solo stamattina ho sentito il bisogno di leggerla, perché è strano vedere Jack così allegro. Sorrideva anche prima, davanti al distributore di caffè che sa di piscio, ma non diceva nulla. Qui la vita è sempre difficile, ultimamente per Jack lo è ancora di più, e non solo per l'incidente con la moto in cui si è fratturato il radio.
McAlester non è un luogo dove regna il sorriso, per questo, quando ne vedo uno, ci faccio così tanta attenzione.
Qualcuno una volta ha detto che l’essere umano si abitua a tutto, anche alle cose peggiori. E allora dovrebbero spiegarmi perché in dieci anni non mi sono ancora abituato alla morte.
Sul braccio ingessato di Jack c’è scritto “Richie”.
A McAlester non sono solo le iniezioni ad uccidere; anche su di noi pende una condanna. Siamo condannati a morire lentamente, ogni giorno che passa, portando negli occhi gli ultimi passi dalla cella alla camera della morte, gli ultimi sguardi, colmi di consapevole rassegnazione.
Siamo condannati a sperare fino all’ultimo di vederli tornare indietro, ripercorrendo gli stessi passi con sguardi diversi.
Siamo condannati a renderci conto che nessuno torna mai indietro.
E allora ti metti alla tua scrivania, davanti al tuo computer, e compili il tuo file con l’ennesimo nome di quell’ennesimo nessuno.
Ma oggi Jack sorride, e ormai ho imparato che se Jack sorride c’è un motivo valido.
Richie era poco più di un bambino quando ha ucciso il suo patrigno.
Quindici anni e mezzo, troppo pochi persino per poter bere alcolici qui in Oklahoma, ma abbastanza per condannarti a morte, senza possibilità di pietà o compassione, nemmeno se più della metà li hai trascorsi a combattere contro la violenza e il sopruso.
Jack e Richie hanno sempre avuto un legame speciale.

Sarà perché sono entrati a McAlester insieme, diciassette anni fa. Sarà perché Richie gli ricorda suo figlio David, o magari perché Jack, nonostante si sia sempre dichiarato un fedele servitore del suo Paese, si vergogna di rappresentare uno Stato che non vede che Richie è malato, negandogli così ogni speranza di salvezza.
A vederlo così allegro, il caro Jack, penso che finalmente dopo anni di appelli, sia arrivata la commutazione della pena per quel povero cristo, la cui unica colpa è di essere affetto da disordine da personalità multipla.
E sul comunicato che giace sotto il gomito buono di Jack c’è scritto che la condanna a morte di Richard Evans, fissata per il quattro febbraio prossimo, è annullata.
Jack sorride. Non dovrà mai fare quegli ultimi passi a fianco di Richie, non dovrà guardare la rassegnazione nei suoi occhi, non dovrà mai sperare di vederlo tornare indietro. E’ questo il segreto del suo star bene, oggi.
Richie è morto, stanotte. Un infarto se l’è portato via, a trentatrè anni.
La legge della natura è più giusta di quella dello stato di Oklahoma.
E Jack lo sa, per questo sorride.

0 hanno detto:

Posta un commento